Dagli sviluppatori originali di Vampire della White Wolf, la saga del destino dell'umanità fra le stelle...

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[Fading Suns: il crepuscolo delle stelle]

Novità
Capitolo 7 del
VICTORY POINT SYSTEM

[Editori Folli]
[RPG SoundTracks]

Garrett il Ladro
di Anubi
(Marzo 2004)

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L'Uomo venne tra noi
e scagliò il Fuoco Tonante dov'era l'Acqua, facendola scomparire
e forgiò il Freddo Metallo dov'erano gli Alberi, avvelenando l'Aria
e versò il Sangue dei Figli degli Alberi, senza alcun pentimento o lacrima
e rise di fronte ai luoghi sacri al Trickster, portando le insegne di un Falso Dio.
Il Signore venne tra noi
e risveglò l'amico Fiume affinchè portasse l'Acqua con cui soffocare le Fiamme
e soffiò al paterno Cielo perchè scatenasse i suoi figli Fulmine e Pioggia contro l'empio Metallo
e chiamò la sorella Tigre ed il Fratello Lupo affinchè pasteggiassero insieme con le carni dell'uomo
e scacciò il Falso Dio dal suo pianeta sacro, senza chiedere alcunchè in cambio ai suoi protetti, perchè egli era Giusto tra i Giusti, Umile tra gli Umili.
- Testo scritto con sangue su pergamena ritrovato tra gli effetti di un simbionte.

L'umano avanzava lentamente nei vicoli del quartiere malavitoso della città. In lontananza, al di sopra dei rumori delle risse che infuriavano nei pub, la voce delle campane annunciava che la notte era incominciata.
Quel suono ritmico e profondo era l'unica cosa da parecchie settimane che permettesse di distinguere il giorno dalla notte a causa delle pesanti nubi nere che ricoprivano l'intero pianeta. La Gilda degli Ingegneri si stava dando da fare per cercare di riparare le macchine terraformanti affinché provvedessero ad eliminare quelle nubi. Persino le gilde dei ladri che operavano lì iniziavano a preoccuparsi, poiché le nubi rendevano sempre più scarsi i contatti con i mercanti degli altri pianeti, e ciò andava a scapito dei loro... affari.
L'uomo fece per svoltare in uno stretto vicolo, ma si fermò quando senti l'inconfondibile rumore di una persona che cadeva a terra.
Seguirono delle risate roche, rese stridule dall'alcol, che lentamente si allontanavano.
L'uomo sentì qualcosa bagnargli gli stivali mentre nell'aria si spandeva l'odore ferroso e nauseante del sangue. Rimase fermo per qualche minuto, durante i quali non provenne alcun rumore dal vicolo, poi si affacciò.
Una donna umana dai lunghi capelli neri era riversa a terra, il volto immerso nel sangue che oramai aveva smesso di uscire dalla gola, ed al suo fianco c'era una ragazzina di dieci anni circa che guardava là dove erano andati i bruti.
La bambina sposto lo sguardo sull'uomo e rimasero qualche secondo a guardarsi.
"Io so chi sei", la voce chiara e trasparente della bambina era ferma e sicura come se nulla fosse. La sua mano si alzò per indicare un manifesto appeso nel vicolo da un sacerdote avestita. Il nome era reso illeggibile dagli schizzi di sangue, ma il volto era perfettamente riconoscibile. Il magro volto di un umano ancora giovane lo guardava minaccioso con un occhio meccanico ed uno normale. Il naso aquilino si adattava perfettamente alle labbra sottili, quasi inesistenti, ed ai capelli corvini, dando al tutto un aspetto ancora più spietato. Sopra il volto troneggiava la scritta "Ricercato" in un rosso assai sbiadito se paragonato a quello del sangue che copriva il nome. La taglia era di 700 fenici, neanche molto se paragonate alle taglie milionarie di certi pirati spaziali.
L'uomo accartocciò il foglio e lo gettò nella pozza di sangue, poi tornò a guardare la bambina. Sembrava che la sua mente negasse l'esistenza stessa del cadavere, o che non se ne curasse. L'uomo aveva visto simili atteggiamenti in alcuni bambini che vivevano su un pianeta in lotta con i simbionti anni addietro.
La bambina prese di tasca una moneta da un artiglio e gliela porse. "Te la do se mi riporti Meggy, la mia bambola" nella voce c'era tutta la tranquillità di una bambina che chiedeva un gelato al papà.
L'uomo guardò la donna, la girò con il piede su un fianco notando i vestiti strappati e molti segni di percosse. Uno stemma su un lembo di pelle che una volta doveva essere una pratica cintura raffigurava il simbolo della Gilda degli Ingegneri. Senza dire nulla allungò una mano verso la bambina e si incamminarono.

[News]
[Freebies]

L'uomo guardava oramai da un'ora l'ex capannone industriale dove si erano rifugiati i due bruti. Se non fosse per le nubi, il sole ora gli illuminerebbe la schiena. Invece era immerso nelle tenebre, con il mantello nero completamente fradicio a causa della pioggia torrenziale che cadeva incessantemente da quando era arrivato; lì nessuno lo avrebbe visto, mentre lui vedeva perfettamente le ombre che si muovevano dentro al capannone illuminato.
Durante l'appostamento aveva contato dodici figure all'interno del capannone industriale, di cui otto avevano i movimenti tipici di una persona abituata a combattere e ad aspettarsi in qualsiasi istante un attacco. Altrettante telecamere mobili monitoravano la zona volando intorno all'edificio a qualche metro da terra. La cosa più impressionante erano comunque i guardiani della pesante saracinesca e della porta subito a fianco che costituivano l'ingresso all'ex capannone: due golem statuari, il cui aspetto ricordava un incrocio tra un grosso umano ed un coccodrillo per via della possente "coda" e dei lunghi artigli, affiancati da due gurdvulf e altrettanti tigri skerra, che nonostante le numerose ossa sparpagliate in giro sembravano intenzionate a sfogare la loro frustrazione per il fatto di essere rimaste sotto la piaggia su chiunque fosse capitato loro a tiro.
Il boato di un tuono fece tremare i vetri dei capannoni, ma al contempo coprì il rumore dell'uomo che balzava su una vicina grondaia. Si fermò in quel punto nell'attesa del boato successivo, con il quale raggiunse il tetto leggermente curvo dell'edificio.
L'uomo si accovacciò sul tetto e sfilò dalla spalla un complesso arco di legno, poi legò una freccia con del nylon prima di incoccarla.
Rimase lì fermo leggermente inginocchiato, con l'arco teso. I fulmini cadevano sempre più ritmicamente, e l'uomo li ascoltava ad occhi chiusi, lasciando che il cuore gli facesse da orologio.
Aprì gli occhi e rilasciò la corda dell'arco. La freccia fendette l'aria e la pioggia senza provocare alcun suono, a parte un leggero fischio che si perdeva nel fragore dell'acqua scosciante.
La punta di metallo forò la corazza di una delle telecamere nello stesso istante in cui scoppiò il boato di un nuovo fulmine. La freccia e la telecamera rimasero unite per alcuni secondi, poi la freccia cadde a terra lasciando un foro sulla telecamera. Lentamente l'arciere iniziò a tirare il filo di nylon, non tanto per recuperare la freccia quanto per evitare che fosse trovata vicino alla telecamera. L'acqua piovana entrava nei circuiti della telecamera una goccia alla volta, provocando una serie di piccoli corto circuiti nei complessi meccanismi che permettevano il volo, paralizzandola sul posto. La telecamera volante immediatamente successiva andò a scontrarsi con quella danneggiata, cadendo insieme al suolo semi distrutte.
L'uomo si acquattò sul tetto con l'arco poggiato a terra, in attesa. La porta a fianco della saracinesca si aprì ed un energumeno ne uscì imprecando per la pioggia. L'arciere dall'alto del tetto chiuse l'occhio sano e si concentrò su quello meccanico. In breve vide il volto del bruto come se fosse a pochi metri da lui. Lo vide dire una parola verso i golem che lo lasciarono passare pur rimanendo vigili. Il bruto si incamminò rapidamente verso le telecamere rotte ed imprecò di nuovo, e senza ombra di dubbio le bestemmie erano rivolte contro colui che gliele aveva vendute. Prese le telecamere e rientrò di corsa. L'arciere si rimise l'arco in spalla e chiuse la faretra poi scese dal tetto usando il tubo della grondaia. Lentamente si allontanò dal capannone, girò intorno all'edificio su cui si era arrampicato e raggiunse un tombino.
Si guardò intorno e non notando nessuno, lo sollevò. L'acqua nelle fogne scorreva veloce ed il livello si alzava senza tregua sotto la spinta della pioggia torrenziale, spumeggiando ad ogni curva che era costretta a fare e premendo i detriti che trasportava contro le grate che attraversava. L'arciere si morse un labbro poiché questo rendeva più difficoltoso avvicinarsi al capannone senza essere notati. Richiuse con cautela il tombino e tornò a guardarsi intorno. Con passo leggero, muovendosi di ombra in ombra come se fosse parte di esse, si incamminò verso la sua meta, ma fu costretto a bloccarsi quasi subito; il suo orecchio allenato aveva percepito il rumore morbido e ripetitivo dei passi lungo la via alle sue spalle tra un tuono e il successivo.
Si gettò istintivamente in un vicolo laterale, appiattendosi contro il muro dietro ad alcuni bidoni di immondizia. Lentamente i passi si fecero più vicini, ed il ladro contò mentalmente che dovevano trattarsi di sei od otto persone, quattro delle quali portavano stivali con rinforzo in ferro poiché ad ogni passo stridevano contro le pietre bagnate della strada e tutti tranne un paio avevano ricevuto un ferreo addestramento militare in quanto avanzavano marciando, gli stivali che toccavano per terra quasi nello stesso istante. Mentre si avvicinavano notò che c'era un altro rumore, come se stessero facendo strisciare qualcosa di morbido per terra, raschiandolo e strattonandolo di tanto in tanto.
Lentamente vide comparire due soldati nelle loro tipiche armature rosse blasonate con lo stemma degli Hawkwood e della guardia cittadina. L'elmo metallico li proteggeva bene dalla pioggia ma era evidente che non erano entusiasti di girare per la città a quell'ora e con quel tempo da cani. Seguivano due sacerdoti vestito dei sai neri semplici, zuppi di pioggia. Il simbolo sul mantello, gli occhi freddi e determinati che si muovevano ovunque scrutando con fare al limite del paranoico ogni ombra, le sciarpe con cui si coprivano il volto li identificava come seguaci del Tempio Avesti. Uno di loro, probabilmente il fratello di grado maggiore, trascinava senza cura una donna dall'aspetto aggraziato nonostante i lividi e le ferite che aveva ovunque sul corpo. Sulla fronte aveva un piccolo tatuaggio rosso a forma di occhio semiaperto, inscritto in una linea arcuata, rappresentante il simbolo di una divinità pagana, ma era disegnato male o sbagliato in molti punti; probabilmente la donna l'aveva scelto per motivi estetici e non per motivi rituali. Le vesti lacerate mostravano anche il marchio che gli Avestiti imponevano agli psichici che catturavano. La strega psichica era solo parzialmente cosciente di ciò che le accadeva intorno o forse cercava volontariamente di estraniarsi per fuggire dal dolore che la attendeva e che precedeva la morte a cui sarebbe sicuramente andata incontro, forse come capro espiatorio per il maltempo che imperversava, o forse no. Ad ogni modo gli Avestiti avrebbero punito il suo crimine, essere nata diversa, con la morte.
Chiudevano la processione un Frate Combattente e altre due guardie cittadine. Nemmeno loro apprezzavano il tempo, ma forse nei loro sguardi vi era un po' di pietà per la misera creatura che gli stava davanti, abbastanza da impedirgli di percuoterla ulteriormente.
L'uomo rimase in attesa, trattenendo il fiato per evitare che la condensa rivelasse la sua presenza. Il gruppo passò senza notarlo e l'uomo riprese a concentrarsi sul suo obiettivo. Oramai non mancava molto a raggiungere il retro dell'edificio. Un paio di minuti dopo si trovava dietro un capannone vuoto, il quale era esattamente alle spalle del suo obiettivo.
Estrasse dalla cintura un pesante portafoglio in pelle che una volta aperto rivelò di contenere tutta una serie di cacciaviti, pinze, chiavi di metallo e magnetiche, bustine di olio e tutta una serie di arnesi atti allo scasso. In un minuto, senza fare alcun rumore, aveva aperto una delle finestre ed era entrato nel capannone vuoto. Dentro vi era un buio ancora più profondo di quello che c'era all'esterno, ma l'occhio meccanico riusciva lo stesso a distinguere le forme degli oggetti presenti, permettendogli di attraversarlo senza incidenti.
Raggiunse la porta e rimase in attesa. Appena vide che la fila delle telecamere volanti si interrompeva, dato che le telecamere rimanenti non riuscivano più a coprire per intero il lato corto posteriore, aprì la porta e mise un pezzetto di scotch sulla serratura in modo che il vento la facesse sbattere come se l'avesse scardinata. Rimase nuovamente in attesa, calcolando la velocità delle telecamere e la distanza. I minuti passarono mentre l'uomo rimaneva completamente immobile. Il rombo di un tuono particolarmente vicino fu come il segnale di "via" ad una gara. Si mise a correre in diagonale mentre le telecamere sparivano sul lato sinistro e ricomparivano da quello destro. Nonostante il vento contrario che comunque aiutava a nascondere il suo odore agli animali da guardia, raggiunse l'angolo sinistro un paio di secondi prima della telecamera e si appiattì contro il muro mentre le telecamere gli passavano a pochi centimetri dal naso. Non udì i golem avvicinarsi né la saracinesca alzarsi; era riuscito a rimanere al di fuori del campo visivo delle telecamere.
Mentre le telecamere gli passavano davanti, il ladro notò che le finestre al piano terra erano state sbarrate dall'interno e che vi erano numerose trappole attaccate. Guardò in alto, notando che lì le finestre erano libere, poi si sfilò con calma la faretra dalla spalla e l'appoggiò lentamente al muro. L'aprì lentamente per evitare di fare rumore, poi con le dita toccò le penne delle varie aste, fino a quando non ne riconobbe una dal taglio particolare. La estrasse con delicatezza; la punta della freccia era strana, un sacchetto molliccio di sintopelle a forma di semisfera chiuso in cima con vari lacci e cerniere. L'altra estremità era invece legata ad una lunga corda in sintoseta, leggera ma resistente ed in grado di reggere enormi pesi senza nemmeno perdere di elasticità. Prese la freccia con i denti, poi iniziò a sfilare lentamente l'arco, badando di non toccare le telecamere. Appoggiò l'arco a terrà ed approfittò del buco nel cerchio delle telecamere per slacciare rapidamente i lacci e aprire le cerniere del sacchetto che chiudeva la freccia. All'interno c'era una sostanza gelatinosa, densa e appiccicosa di color ambra con l'asta della freccia immersa per alcuni centimetri. Lentamente la colla stava diventando trasparente, segno che iniziava a solidificarsi. Attese pazientemente che le telecamere passassero e non appena scomparvero dietro l'angolo incoccò la freccia e la tirò in alto. Il volo fu lento a causa della colla e dei contrappesi sull'estremità, che la rendevano pesante, ma raggiunse il bordo di una delle finestre superiori, producendo solo un suono morbido e gommoso, non dissimile da quello di una ventosa; la colla fece presa nonostante la parete fosse bagnata. Il ladro si rimise in spalla l'arco e la faretra, aspettò che la colla si solidificasse perfettamente intorno alla punta dell'asta, poi iniziò ad arrampicarsi fino a raggiungere la finestra. In quel punto il tetto lo riparava dalla pioggia incessante, rendendo meno scivolosa la corda. L'uomo si appoggiò con la punta dei piedi in alcuni buchi presenti nelle pareti dell'edificio, forse il risultato di qualche scontro a fuoco, ed estrasse il borsellino con gli arnesi da scasso. Da lì la vista era bloccata da alcuni vecchi scatoloni e arnesi da fabbrica, ma poteva perfettamente sentire che qualcuno stava lavorando su di una macchina, con tanto di fiamma ossidrica e martello, mentre qualcosa produceva un suono elettronico. Lentamente iniziò a scassinare la finestra, premurandosi di non fare troppo rumore, agendo in contemporanea ai tuoni; cinque minuti dopo la finestra era aperta, e lui non dovette far altro che calare la corda dalla finestra e scendere giù.
L'interno del capannone era ben illuminato, ma colpiva l'incessante rumore metallico ed elettrico che rimbombava ovunque contro le pareti munite di pannelli fonoassorbenti, come quello di una grossa macchina pensante.
L'uomo si guardò in giro con cautela, rimanendo abbassato, la mano sull'elsa della spada. Il mantello e gli stivali cerati si erano già asciugati grazie all'aria calda e secca, sebbene avessero formato una piccola pozzanghera. Purtroppo gli abiti e le calze non erano state trattate allo stesso modo e i guanti avevano trattenuto parecchia acqua, inzuppandolo fino al midollo, ma era una cosa a cui si era abituato da tempo. Si spostò a carponi, fino a raggiungere una scatola di legno sfasciata con le pareti piene di buchi a causa dei tarli e della muffa. Attraverso i buchi vide una decina di uomini, in un ampio spazio ricavato spostando le scatole dalla zona centrale verso le pareti laterali. Due di loro, vestiti con camici bianchi talmente sporchi di olio e polvere da sembrare grigi, si occupavano di sistemare una grossa macchina simile ad una struttura per la terraformazione in miniatura, controllandone i parametri e lo stato dei componenti. Quattro erano mercenari armati fino ai denti, dai muscoli tanto perfetti da sembrare scolpiti nel marmo nonostante varie cicatrici da battaglia; era evidente che erano stati un tempo soldati dell'Impero adattatisi a una vita da mercenari al soldo di mercanti timorosi dei pirati e nobili in cerca di guardie del corpo. Un altro uomo sembrava un tecnico, ma dai calli sulle mani grigiastre era facile capire che se la cavava anche con le pistole. Tre donne vestite con dei leggeri sai controllavano l'ingresso; l'assenza di armi e l'atteggiamento indicavano una spiccata preferenza per le arti marziali oltre ad una ferrea disciplina. Ciò che delle tre donne sconcertava non era l'abilità nei combattimenti corpo a corpo, quanto i tatuaggi, le cicatrici rituali e i segni di graffi e morsi di animali. La risposta a quei segni era seduta su una piccola scatola non lontano dalla macchina terraformante. Un uomo sulla cinquantina ma ancora robusto ed in forze stava conversando amabilmente con una bella donna dai vestiti provocanti, con la pelle liscia ed abbronzata, i capelli neri dai riflessi castani e gli occhi verdi. L'uomo si chiamava Jean-Leon della Casata Decados, ed era noto in città per esser un ricco ed anziano damerino che si divertiva a dare lussuose feste nel suo maniero o a partecipare a quelle date dagli altri nobili e dai ricchi mercanti in città; disponeva di numerose amicizie altolocate e di una cassaforte nascosta dietro al quadro di suo padre, Desmond Decados, provvista di una elaborata serratura elettronica, contenente dossier su buona parte degli abitanti della città oltre a numerosi scritti sulle arti antinomiste, e la cui combinazione non era mai cambiata nonostante tutte le volte che era entrato nel maniero. La donna si chiamava Verenyçe e in città si spacciava per una duchessa Li Halan proveniente da Icona, ma era invece la somma sacerdotessa di un culto pagano animalista che viveva nelle foreste e paludi del pianeta. Il culto era intenzionato a combattere l'avanzare delle macchine, o a scacciare l'umanità "civilizzata" dal pianeta, fino a ritornare ad un'era oscura, non dissimile da quella che gli storici chiamavano Era Antica.
A quanto pareva la donna, dopo il fallito tentativo di evocare in terra il demone noto come il Trickster, aveva deciso di utilizzare le macchine contro gli altri umani e si era servita del fratello del suo vecchio alleato Antoine Decados.
Il ladro riprese ad avanzare fino a raggiungere il bordo del muro di casse e rimase fermo. Poco dopo arrivò dietro alle casse uno dei mercenari che camminava nervoso per l'attesa; il respiro lento intervallato da soffi indicava che fumava e che probabilmente era lì per non dare troppo fastidio ai tecnici. Il ladro si sporse un attimo da dietro le casse, ritrovandosi al suo fianco. Quando ritornò dietro le casse alcuni istanti più tardi aprì uno scatolone con i piedi e ci infilò dentro delicatamente il caricatore del fucile, una manciata di granate e 2 pistole. Il bruto si allontanò senza nemmeno accorgersi che le sue armi erano state sostituite da pezzi di legno e che il suo fucile era caricato a tavolette di cioccolato, oltre ad avere i cavi dell'alimentazione dello scudo tagliati e 100 fenici in meno. L'uomo rimase fermo ancora un paio di minuti, poi scattò furtivamente verso un'altra catasta di scatoloni; da quanto aveva visto la macchina era alimentata tramite una serie di batterie a fusione grandi, ma le luci del capannone sfruttavano la normale rete elettrica cittadina ed il cavo passava proprio lungo quella parete.
Quando arrivò li dietro solo la sua lunga esperienza gli impedì di gridare. Davanti a lui stava un Vorox praticamente calvo a causa delle numerose cicatrici, grosso anche per la media della sua razza, e armato come un intero reparto di Hazat. Per pura fortuna del ladro, il bestione aveva il sonno pesante e faceva uso di tappi per il naso per non rimanere stordito dalla puzza dei gas di scarico della macchina; probabilmente si era messo a dormire lì per non essere troppo disturbato dalla macchina ed al contempo poter raggiungere in fretta i cancelli in caso di bisogno.
Il ladro girò con fare cauto intorno al Vorox, avendo l'accortezza di manomettere il sistema di aggancio dell'armatura e della cintura con le munizioni, mise un po' di colla sui manici delle varie armi, che svuotò dei caricatori o manomise in modo da incepparle, poi si diresse fino a una delle prese a muro e vi legò sopra la sua borraccia con il tappo parzialmente svitato a cui legò un filo. Al momento opportuno sarebbe bastato un leggero strattone per far andare in corto circuito l'impianto di illuminazione.
Coperto dal rumore fatto dalla macchina terraformante ritornò dietro alla pila di casse dove era entrato, rimanendo lì a osservare.
Rimase immobile, aspettando pazientemente il momento giusto per agire, con i muscoli pronti a scattare e la mano sull'elsa della spada, nel caso che qualcuno si accorgesse di lui. I tecnici si muovevano sempre più agitati intorno alla piccola macchina per la terraformazione, i soldati e le animaliste invece pareva che con l'avvicinarsi dell'alba si stavano concedendo un po' di relax. Verenyçe e Jean-Leon invece rimanevano tranquilli discutendo con calma, sebbene da dove si trovava il ladro non riusciva a sentire quello che si dicevano né a leggere le labbra.
Alla fine Verenyçe prese una borsa e ne estrasse un vecchio libro con le pagine ingiallite e la copertina in cuoio rosso.
Il ladro si mise all'opera in quell'istante. Diede uno strattone alla corda, facendo finire l'acqua sulla presa e sulla gamba del Vorox che dormiva lì vicino. La luce saltò immediatamente e il bestione sorpreso dalla scossa elettrica condotta dall'acqua saltò su due zampe agitandosi e buttando in giro scatole e pelo. I lampi fornivano l'unica illuminazione nella stanza, sebbene la macchina terraformante continuasse a funzionare grazie alle batterie autonome. Mentre tutti si voltavano verso il Vorox cercando di capire cose fosse successo, il ladro uscì silenzioso da dietro il nascondiglio e in poche mosse tagliò i fili che alimentavano la macchina, prendendo poi sia uno dei dischetti di memoria che il chip che permetteva di regolare il tempo atmosferico. La scena all'interno del capannone era al limite dell'onirico; i lampi illuminavano l'edificio facendo sembrare che i mercenari e le animaliste si muovessero a scatti per bloccare il Vorox impazzito. Anche per il ladro, che poteva vedere persino nell'oscurità il tutto aveva un aspetto psichedelico con le immagini infrarosse dell'occhio meccanico che si intervallavano a quelle normali dell'occhio sano. Dopo un attimo di stordimento si mosse verso dove si trovavano Jean-Leon e Verenyçe. I due nobili (sempre che Verenyçe potesse essere definita una nobile) erano come ipnotizzati dalla scena, tanto che il Decados aveva lasciato cadere il libro, cosa di cui l'uomo gli fu grato, dato che poteva prenderlo senza doverlo stordire con il manganello. I mercenari iniziarono a coordinarsi urlando e sparando al Vorox per abbatterlo, e nonostante uno imprecasse perché nessuna delle sue armi funzionava, la Li Halan si accorse che i lampi si facevano meno intensi; quando trovò la macchina nell'oscurità, il ladro era già uscito dalla porta principale, aveva pronunciato la password vocale che disattivava momentaneamente i golem ed anestetizzato gli animali con delle fiale di cloroformio.
Recuperando ciò che rimaneva della bambola della bambina da un cassonetto posto sul lato opposto rispetto a quello che aveva monitorato all'inizio di quella nottata, il ladro non poté non sorridere quando udì l'urlo di Verenyçe e del Vorox, che insieme formavano un boato simile a quello di una foresta abbattuta da un potente colpo di vento. Passarono pochi secondi nei quali all'urlo dei due si unì quelli dei mercenari. Poi tutto tacque e quel silenzio fu, per l'uomo abituato a muoversi senza produrre alcun suono, molto più inquietante delle urla disumane precedenti. In pochi secondi si portò lontano, sui tetti a lui familiari ad osservare Verenyçe e Jean-Leon uscire dal capannone, fradici di sangue. Victoria si ergeva alta verso il sole che iniziava a spuntare da dietro le nubi. Le sue dita aggraziate erano divenute rami lunghi e spinosi mentre i piedi erano possenti radici millenarie; la sua pelle pallida e vellutata si era trasformata in corteccia di quercia ed i suoi lunghi capelli di seta ora erano viticci di edera e rami di salice piangente; resina gialla le colava dagli occhi tristi ma al contempo splendenti per l'ira provocata dall'onta subita. Nella sua vera forma Verenyçe era l'incarnazione stessa degli alberi, nobile e letale, e il piccolo signorotto Decados non poté far altro che genuflettersi quando lei si volse a osservarlo piena di ira. In un attimo Verenyçe riassunse le sue sembianze umane e si allontanò dopo aver congedato il nobile e distrutto in un nuovo sfogo di rabbia i due golem. Gli animali la seguirono silenziosi, quasi comprendessero il suo stato d'animo.
Al ladro non rimase altro da fare che andare alla gilda... ma non prima di aver ricucito la bambola, pensò tra sé sorridendo mente il sole illuminava, con la sua luce leggermente più fioca di quanto lo fosse appena un mese prima, zone sempre più vaste della città.

   
[Noble Armada]
[Forum]

  Il Gioco

Si muoveva tranquillo nei vicoli della città.
Ora dopo ora il sole asciugava le strade e le case, mentre la gente usciva e riprendeva le sue faccende quotidiane; persino i mendicanti erano già pronti a ricevere l'elemosina dei generosi passanti, ringraziando il Pancreatore e tutti i santi.
Ingegneri e Funzionari di ogni ceto dirigevano i lavori dei servi per pulire le strade e riparare le fogne. Un Ingegnere insisteva nel voler mandare in avanscoperta uno dei suoi piccoli robot da perlustrazione, ma tacque immediatamente appena lo sguardo di un Avestita al seguito della milizia cittadina si posò su di lui. Dietro qualche tenda si udivano i rapidi respiri degli amanti, mentre alcuni topi d'appartamento venivano arrestati da una pattuglia e portati alle prigioni in attesa di un processo.
Il ladro rallentò il passo, evitando accuratamente le vie maggiormente pattugliate. Non aveva alcuna fretta di raggiungere la base della Gilda dei Custodi, coloro per cui lavorava. Con garbo ordinò una tazza di tè in un piccolo bar che incontrò nel suo girovagare. Rimase lì ad osservare alcuni Incatenatori che sorvegliavano annoiati il lavoro degli addetti alle fogne. Finito il tè e stancatosi dello spettacolo, il ladro si avviò verso un edificio fatiscente non molto distante.
Mentre stava per entrare uno dei mendicanti seduti lì vicino si mosse verso di lui quanto più rapidamente gli consentissero le sue gambe malate, poi lo prese per il mantello sorridendogli arcignamente.
"Signore, non andate; non è sicuro entrare qui dentro!" La voce era stridula e sibilante "L'edificio è pericolante e potrebbe crollare e seppellirvi! Meglio starne lontano, signore, molto meglio almeno fino all'arrivo dei muratori!"
Il mendicante allungo la mano libera speranzoso di ricevere qualche spicciolo.
Il ladro rimase un attimo a guardarlo, poi con calma lo allontanò quasi divertito.
"Ionha, te lo dico sempre di non nascondere le armi dietro la schiena e di non usare fulminatori da quattro soldi; fanno un fastidiosissimo ronzio." Poi prese da una tasca una manciata di fenici e gliele mise in mano. Il mendicante parve improvvisamente acquisire maggiore dimestichezza sulle gambe, mentre il suo volto si faceva meno arcigno, rivelando che la sporcizia che lo copriva era in buona parte cerone ed altri trucchi simili.
"Considerale una ricompensa per le informazioni datemi" continuò il ladro indicando le monete. "Ma non preoccuparti, so esattamente come trattare con quegli scorbutici della gilda; non lascerò che mi schiaccino." Gli strizzò l'occhio ed entrò nell'edificio.
Il finto mendicante rimase un attimo in piedi a guardare il ladro che spariva nell'edificio, poi con fare rassegnato gettò il fulminatore che teneva dietro la schiena in un tombino prima di tornare al suo posto di guardia.
L'uomo entrò tranquillo in un lungo corridoio coperto di detriti e calcinacci; avanzò avendo cura di evitare le trappole e pronunciando nei punti prestabiliti le apposite parole d'ordine. Una parola sbagliata o pronunciata nel punto sbagliato avrebbe fatto entrare in azione i numerosi cecchini che lo stavano controllando come se fossero la sua ombra; un errore e quello scenario messo in piedi dalla Gilda si sarebbe colorato di rosso. Giunse senza intoppi sopra i resti di un divano in quella che ipoteticamente sarebbe dovuta essere un salotto devastato da una granata. In più punti erano state lasciate crescere edere ed erbacce varie per dare la sensazione ad una spia o ad un osservatore casuale che il luogo fosse disabitato da tempo. Ebbe a malapena il tempo di guardarsi attorno che giunsero quattro soldati che lo circondarono immediatamente, pistola in mano.
"Benvenuto Mister Garrett. I Maestri Custodi desiderano parlare con lei, e per la vostra sicurezza devo farvi da scorta." La voce dolce e gentile rimbalzava sulle pareti semidistrutte della stanza impedendo una precisa localizzazione della sua fonte.
"Buongiorno a voi, Mister Ramon. Vi ringrazio della premura ma preferirei continuare da solo; conosco la strada, e non ho timore di percorrerla da solo." La voce di Garrett era ferma e decisa, ma tranquilla. Conosceva Ramon ed i suoi modi eleganti che nascondevano una verità fatta di omicidi e torture dietro un velo di rispettabilità. Sapeva che l'altro si aspettava la domanda e conosceva già la risposta, ma con un pazzo come quello il ladro sapeva che era meglio non rischiare e stare a quelle regole non scritte.
Un uomo alto e magro, dal volto affilato e con gli occhi rossi incavati e nascosti dietro il cappuccio di un saio, uscì da dietro una parete semidistrutta. Impugnava una lunga lancia rossa a cui aveva dato il nome di "Longinea", un ricordo dei suoi tempi da assassino mercenario, prima che prendesse i voti da Frate Combattente.
"Troppo rischioso... una spia o un demone potrebbero attentare alla vostra vita. Siete un elemento troppo prezioso per noi per perdervi in questo modo," disse, sottolineando le parole con un leggero inchino. Al ladro sembrò che se si fosse piegato un po' di più sarebbe caduto spezzato a metà.
"Allora non mi resta che ringraziarvi e seguirvi," fu la risposta.
Soddisfatto, Ramon ordinò alle guardie di disporsi intorno al ladro e di tenerlo d'occhio. Poi si diresse verso una grossa pietra ammuffita e la sollevò con una mano sola senza alcuna fatica, come se fosse di cartapesta. L'appoggiò li vicino, facendola scricchiolare, tanto che un po' di colore si staccò dalla superficie; era proprio di cartapesta. Con un leggero inchino ed uno svolazzo dell'ampio mantello, invitò il ladro ad entrare nello stretto passaggio che era nascosto sotto la pietra.
"Andate pure avanti, noi vi copriremo le spalle in caso giungano dei simbionti ad attaccarci." Le parole gentili dell'assassino non riuscivano a nascondere il divertimento che traspariva dal suo sorriso.
Il ladro non poté far altro che scendere la stretta scalinata a chiocciola, le mani guantate sulle pareti più per dimostrare che non aveva intenzione di estrarre le armi che per reggersi. La discesa durò cinque minuti nonostante procedessero veloci, ma alla fine giunsero sul piazzale antistante la Cattedrale dei Custodi. L'edificio risaliva ai primi anni della Seconda Repubblica, in uno stile che ricordava il gotico dell'Antica Urth. L'ampio rosone e le finestre con le immagini dei santi, formati da frammenti di vetro di vari colori, dovevano essere uno spettacolo stupendo quando l'edificio era ancora in superficie, ma ancora più impressionante era l'enorme statua del Pancreatore e del Profeta che si aiutavano a vicenda a reggere un portale di salto posto sulle loro spalle, mentre in mano reggevano i simboli della conoscenza e del progresso: il Pancreatore teneva un compasso ed una quadra, simboli di un'antica setta, mentre il profeta stringeva sotto la spalla i Vangeli Omega ed un libro di storia. Il tempo purtroppo aveva lentamente seppellito la Cattedrale e ora una nuova città sorgeva sopra di essa; ciò rendeva l'edifico perfetto come base per i Custodi, sia dal punto di vista simbolico che pratico.
Entrarono nell'edificio senza che nessuno li fermasse o controllasse anche se Garrett aveva visto due uomini osservarli da dietro la finestra di Horace l'Erudito. La navata centrale era stata trasformata in un lungo corridoio, ma erano state mantenute le colonne raffiguranti santi ed eroi della storia passata.
Garrett prese la bambola della bambina, poi si fermò di colpo, tanto che per poco una delle guardie non gli sbatte contro.
"Dov'è?"
"La bambina intendi?" Ramon sorrise divertito. "Potrai venire a trovarla con calma dopo che avrai riferito ai Maestri Custodi."
"Dimmi dov'è ora," non era più una domanda, ma il tono era comunque calmo.
"Seconda porta a destra, se proprio ci tieni." Il sorriso si era allargato tanto da mostrare i denti; probabilmente trovava esaltante sapere che il suo "collega" fosse soggetto alla compassione per una semplice bambina e di sicuro immaginava come usare questa compassione in futuro.
Garrett lo ignorò e si diresse verso la porta indicatagli, aprendola con decisione. La bambina stava giocando con una bambola sotto la sorveglianza di una Custode novizia, ma si girò verso di lui quando entrò.
"Salve signore!"
Garrett sorrise mentre le si avvicinava e le porgeva la bambola ricucita
"Ciao!" Le fece sorridendo mentre so sedeva accanto a lei e mandava via la custode "Ti ho riportato la tua bambola come d'accordo."
La bambina era raggiante, tanto che saltò in piedi e corse verso il ladro, le mani protese verso la bambola. Con sorpresa del ladro si fermò a pochi passi da lui e prese a frugarsi le tasche, per poi porgergli la moneta.
"A lei signore, come promesso," il tono era serio ma fece lo stesso sorridere il ladro che prese la moneta e le diede la bambola.
"Chiamami Garrett."
Ramon, che era rimasto sulla soglia, sbatté delicatamente Longinea contro lo stipite per richiamare l'attenzione del ladro.
"Devo andare, ciao," le sussurrò in un orecchio prima di abbracciarla e di uscire dalla stanza
"Arrivederci," le fece la bambina quando lui era orma uscito.
Ramon ridispose la scorta poi gli si avvicinò.
"Perché le hai restituito la moneta mentre l'abbracciavi?" Il suo sorriso aveva qualcosa che faceva subito venire in mente i serpenti.
"Brillava troppo per uno come me che agisce nell'ombra. Vogliamo andare?"
Ramon rise di gusto mentre ordinava agli uomini di riprendere ad avanzare.
Camminarono per dieci minuti, scendendo sempre più in profondità, tra statue di santi ed affreschi con scene prese dai vangeli in un silenzio di tomba, giungendo infine davanti ad una piccola porta.
"Da qui può procedere da solo, Signor Garrett," allontanando con un gesto distratto la scorta.
"Vi ringrazio per la vostra gentile compagnia, Signor Ramon." Dovette trattenersi per non essere sarcastico.
Garrett aprì la porta ed entrò nella stanza del consiglio. Era già venuto qui altre volte ma rimase comunque stupito della grandezza della sala, strutturata attorno ad un pilone centrale collegato alle pareti da delle rampe; il pilone e le pareti erano coperti da scafali pieni di libri e carte, sotto la tenue luce di alcune lampade. Una donna da qualche parte su quelle rampe stava leggendo dei versi in una lingua sconosciuta al ladro, interrompendosi di tanto in tanto per permettere ad una seconda voce più giovane di ripetere quello che diceva in Urthiano. Tre uomini nella sua stessa rampa gli davano le spalle, separati da un piccolo leggio male illuminato; scrutavano la grande biblioteca e ripetevano sommessamente le parole dette dalle donne.
Garrett prese da una tasca il chip ed il libro, gettandoli sul tavolino. Era infastidito dal fatto che quegli arroganti gli dessero le spalle, rimarcando così il suo ruolo apparentemente inferiore all'interno della gilda.
"Vi ho riportato il chip. Ho anche recuperato il libro dei Decados." Il tono tradiva la sua irritazione. "Ritengo che possa valere un compenso extra."
"Hai impiegato più tempo del previsto." I tre uomini si girarono all'unisono, ma a parlare era solo quello al centro, la cui voce era piatta e calma. I cappucci e la scarsa luce nascondevano i volti; in fondo anche quello faceva parte del gioco.
"La donna che aveva rubato il chip aveva già un compratore e non ne stava cercando uno come mi era stato comunicato. La sua morte per mano di alcune guardie al servizio di Verenyçe e Jean-Leon Decados ha complicato le cose, costringendomi a penetrare nel loro rifugio per rientrarne in possesso"
"Perchè non l'hai uccisa!" L'uomo sulla sinistra si tolse furiosamente il cappuccio sotto il quale indossava un elmo rosso, segno distintivo del comandante delle guardie della città; la sua voce trasudava odio e rabbia mentre il volto sembrava abbronzato tanto era livido di rabbia. La destra era già sotto alla tunica, pronta ad estrarre la spada di energia che teneva nascosta.
"Sono un ladro, non un assassino. Il mio compito era recuperare un chip, non uccidere un'aliena." Garrett si sforzò di rimanere calmo ed impassibile. Una mossa falsa e sarebbe morto.
"Bugiardo! Codardo!..." l'uomo aveva estratto la spada e si preparava ad attaccarlo, ma gli altri due lo bloccarono con lo sguardo. L'uomo abbassò la spada e fisso a lungo negli occhi il ladro prima di rinfoderarla. Le mani gli tremavano nello sforzo di evitare di riempire di pugni Garrett.
"Andate pure Mr. Garrett. La vostra ricompensa vi sarà consegnata come al solito. Penseremo noi a riportare il chip agli Ingegneri affinché lo studino. Arrivederci," la voce del terzo uomo era stanca, quasi un sussurro, ma era ferma e decisa.
Garrett rimase immobile.
"Voglio la bambina."
I tre si guardarono per un istante poi l'uomo al centro riprese a parlare.
"A che scopo? Come può esservi utile la figlia di una traditrice degli ingegneri?"
"Un'allieva. Ha una mente molto sveglia e sembra promettente," non intendeva dare altre spiegazioni.
"Se rimanesse tra di noi vivrebbe molto meglio."
"Vivrebbe di menzogne in una menzogna, costretta a seguire i vostri ordini! O forse la lascerete sulla strada, a vivere come una prostituta e di elemosine!" La voce era carica di tutto l'odio represso fino a quel momento.
"Perché dovremmo darla a te, allora?"
Garrett si limitò ad indicare il libro; conosceva bene il valore che quelle conoscenze avevano per i Custodi, sempre alla ricerca di nuove informazioni su come combattere l'oscurità che dimora tra le stelle.
I tre Custodi annuirono
"Prendila con te allora, ma tieniti in contatto con noi."
Garrett era uscito dalla stanza prima ancora che l'uomo finisse la frase.

   
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La bambina mangiava la ciambella come se non mangiasse da giorni, sotto lo sguardo divertito del ladro. Lì nel suo "covo", un'ampia e ben arredata mansarda nel quartiere dei mercanti, Garrett si sentiva tranquillo e riusciva persino a rilassarsi.
"Allora, ora vuoi dirmi come ti chiami?"
La bambina farfugliò qualcosa di incomprensibile, deglutì a forza il boccone e ripeté "Alehandra" prima di azzannare un'altra ciambella.
Il ladro si fece serio ed attese che finisse di mangiare prima di fare nuove domande.
"Alehandra, ora ti ricordi cos'è accaduto a tua madre?"
La ragazzina guardò un attimo negli occhi il ladro per poi abbassarli sulle mani unte.
"Si."
Il ladro percepì una tristezza infinita in quell'unica parola, ma Alehandra non piangeva. Un punto a suo favore, pensò tra sé Garrett.
"Poiché tua madre ha rubato il chip agli Ingegneri, tradendoli e quasi distruggendo una delle macchine terraformanti, le hanno sequestrato tutti i suoi averi." Tacque un attimo affinché capisse bene ciò che aveva detto poi riprese. "Ora hai due possibilità: la prima è vivere con me imparando l'arte del furto fino a quando non sarai abbastanza grande da poter decidere da sola la tua strada, la seconda é vivere in povertà per le strade, con ottime probabilità di essere catturata dall'Adunata o uccisa dai qualcuno che ritenga i tuoi poteri psichici la causa di ogni male dell'universo."
La bambina lo guardò scioccata.
"Poteri… psichici?" tremava.
"Si, lì ho percepiti quando mi hai chiesto aiuto. Ho avuto a che fare con diversi Ur-Obun in vita mia ed i tuoi poteri sono ancora deboli. Ti insegnerò a controllarli prima che essi ti uccidano."
Le versò un bicchiere di latte e glielo mise davanti sorridendo tranquillamente.
"Qual è la tua scelta?"
La bambina si strinse un attimo le spalle poi prese il bicchiere di latte.
"Resto con te... per ora," vi era una punta d'orgoglio nella sua voce.
"Bene, allora vai a dormire che domani sarà una giornata faticosa"
Il ladro l'accompagnò a letto e le rimboccò le coperte.
Sarebbero stati anni faticosi, ma ne sarebbe valsa la pena.


Garrett il Ladro; Maschio Umano Frf16/Sld4; umanoide Medio; Dadi Vita 16d8+16 più 4d10+4; pf 90; Iniz +6; Vel 9: CA 20 (contatto 16; alla sprovvista 14); Att Base +16/+11/+6/+1; Att Comp +23/+18/+13/+8 in mischia (1d8+3/19-20/x2, spada lunga suprema in mercurium) o +21/+16/+11/+6 in mischia (1d6+2 debilitanti /x2 manganello supremo; +1d6 elettrificato) o +23/+18/+13/+8 in mischia (1d4+4/19-20/x2 pugnale esemplare in ceramacciaio) oppure +26/+21/+16/+11 a distanza (1d6+2/x3 arco corto composito potente [For+2] supremo con frecce perfette; +1d6 da elettricità se la freccia è elettrificata o +1d4 da fuoco se è una freccia dell'alchimista) o +27/+22/+17/+12 a distanza (1d4+4 / 19-20/x2 pugnale esemplare in ceramacciaio); AS Attacco Furtivo (+8d6); QS Occhio del Cecchino, Eludere Migliorato, Schivare Prodigioso (bonus Des alla CA; Non attaccato sui fianchi; +2 contro trappole); AL N; TS Temp +10, Rifl +17, Vol +10; For 14, Des 22, Cos 12, Int 19, Sag 18, Car 15. Linguaggi: Urthiano, Latino, Dialetto di Cadice, Turing, Suprema, Costantinopoli, Linguaggio degli Hironem, Lex V.V, Lojmaa, Uryari.
Abilità e Talenti: Accademia +5; Acrobazia +12; Alfabetismo (Urthiano); Alfabetismo (Lex V.V); Alfabetismo (Latino); Artista della fuga +14; Ascoltare +14; Camuffare +10; Cercare +20; Comunicazione Segreta +10; Conoscenza delle Terre Selvagge +6; Conoscenze (Burocrazia) +5; Conoscenze (Chimica) +6; Conoscenze (Fisica) +6; Conoscenze (Gilde) +5; Conoscenze (Militari) +5; Conoscenze (Mondi Conosciuti) +5; Decifrare Scritture +14; Diplomazia +14; Disattivare Congegni +30; Equilibrio +14; Leggere Labbra +10; Muoversi Silenziosamente +30; Nascondersi +30; Nuotare +6; Osservare +14; Orientamento +6; Parlare Linguaggi (Latino); Parlare Linguaggi (Lojmaa); Parlare Linguaggi (Uryari); Percepire Inganni +10; Pilotare Veicoli Terrestri +10; Raccogliere Informazioni +14; Raggirare +10; Saltare +8; Sapienza Occulta +6; Scalare +10; Scassinare Serrature +20; Svuotare Tasche +14; Utilizzare Artefatti +8; Utilizzare Corde +12; Utilizzare Macchine Pensanti +12; Valutare +8. Conoscenza della Malavita; Dita Sottili; Furtivo; Mano Ferma; Parare; Rete di Informatori; Sensi Acuti; Tiro Lontano; Tiro in Movimento; Tiro Preciso; Tiro Preciso Migliorato*; Tiro Rapido; Tiro Ravvicinato; Xeno-Empatia (Figli di Ur).
*: Talenti forniti dall'Occhio del cecchino
Qualità speciali: Occhio del cecchino: Un occhio cibernetico che potenzia la vista e la mira di chi lo usa; chi lo usa ottiene Visione crepuscolare, Scurovisione (36 m), +5 alle prove di Osservare e Cercare, il talento Tiro Preciso (Tiro Preciso Migliorato se si ha già Tiro Preciso; un +1 ai tiri per colpire con armi a distanza se si hanno già entrambi i talenti), il talento Tiro Ravvicinato (raddoppia la distanza a cui si beneficia del bonus se si ha già il talento), la capacità di compiere attacchi furtivi da 18 metri di distanza. Incorpora anche la funzione di obbiettivo 10x. Incompatibilità: 11
Oggetti: Occhio del Cecchino, sintoseta, spada lunga suprema in mercurium, arco corto composito potente (For+2) supremo, 10 frecce perfette più 5 frecce perfette elettrificate più 5 frecce perfette dell'alchimista, 5 frecce adesive, 4 pugnali esemplari in ceramacciaio, manganello supremo elettrificato, palmare distorsore supremo, arnesi da scasso supremi, corda di seta, specchio, borsa da cintura, gesso, torcia elettrica, sacco, triboli (2 borse), cloroformio (2 fiale). Può recuperare facilmente altro equipaggiamento se ritiene che possa favorirlo nella missione.

Garrett non è molto alto ed è abbastanza sottopeso sebbene la cosa sia in genere nascosta dietro al lungo mantello nero. La sua carriera come ladro professionista iniziò quando a dieci anni, senza saperlo, riuscì a derubare un uomo che a quel tempo era rispettato per essere il miglior ladro non legato ad una gilda. Qualche minuto dopo l'uomo si accorse del furto e riuscì a metterlo letteralmente nel sacco; Garrett fu liberato solo al maniero del maestro ladro che gli insegnò le tecniche e segreti dell'arte del furto. Garrett accettò inizialmente quella nuova situazione come un mezzo per sfuggire alla povertà ed alla fame che avevano dominato i suoi giorni fino ad allora, ma poi ci prese gusto decidendo di apprendere al massimo da quello strano maestro. Come il suo maestro anche lui ha adottato una sorta di codice d'onore che gli impone di non uccidere se non necessario e di non rubare a chi già soffre; ciò nonostante è preparato in caso di combattimento e se necessario, a uccidere. Preferisce comunque stordire la potenziale vittima con il manganello o con gas narcotici.
Dopo una serie di furti ai danni di piccole gilde mercantili dedite al traffico di armi, riscattò il diritto di poter lavorare solo per se stesso. A diciotto anni aveva già una taglia sulla testa di 100 fenici, lavorava in proprio o per conto di un ricettatore e di altri contatti.
La sua vita subì un brusco cambio alcuni anni dopo, quando entro in contatto con Antoine Decados e Verenyçe Li Halan.
I due nobili lo assoldarono per quello che pareva essere il semplice furto di un'antica spada Decados in mano agli Hazat. Al ritorno dalla missione, una missione più difficile del previsto poiché gli uomini che aveva abbattuto o stordito si erano rialzati come orribili gusci, scoprì non solo che un'altro ladro gli aveva tolto il suo posto in città, ma che la spada serviva soprattutto ad evocare un antico essere demoniaco noto solo come il Trickster. Per l'evocazione serviva un altro componente, l'occhio di un uomo non consenziente che risvegliasse i poteri della spada. Verenyçe assunse la sua forma di "albero" simile ma al contempo diversa da quella degli simbionti. Ad una sua parola le piante della casa gli si avvolsero intorno, permettendo alla loro signora di cavargli l'occhio, lasciandolo lì svenuto, destinato a divenire concime per le piante.
Quando riaprì l'occhio sano scoprì che si trovava nella Gilda dei Custodi. Quegli studiosi dei misteri arcani gli offrirono un occhio cibernetico e una casa in cambio di un aiuto contro il comune nemico.
Solo, senza più soldi e disperato, Garrett accettò; non fu difficile riprendersi la sua magione dal tagliagole che ne aveva fatto il covo della sua piccola gilda locale e nemmeno sostituire, durante il rituale di evocazione del Trickster, il suo vecchio occhio organico mantenuto integro solo da qualche rituale oscuro, con un altro di plastica, mandando a monte i piani di Verenyçe ed Antoine di riportare il pianeta ad uno stato selvatico, sotto al giogo di un essere demoniaco.
Nonostante ritenesse di essersi riscattato facendo per quella che sperava essere la sua prima e ultima volta da eroe, fu costretto a rimanere legato alla Gilda dei Custodi, dato che essi gli offrivano soldi e lui aveva bisogno di tempo per ripristinare tutti i suoi contatti.
Nonostante compia alcune missioni per loro, riesce anche a lavorare per sé ed intende andarsene dalla gilda non appena avrà recuperato abbastanza denaro da ripagare i debiti contratti e ripristinato al 100% la sua rete di informatori.

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