Dagli sviluppatori originali di Vampire della White Wolf, la saga del destino dell'umanità fra le stelle...

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[Fading Suns: il crepuscolo delle stelle]

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Capitolo 7 del
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di Stefano Bartoletti

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Le bianche cupole della grande cattedrale dedicata a Santa Maya rilucevano al sole primave-rile, mentre il vento agitava gli stendardi d'ogni colore che dalle imponenti architetture mostravano al popolo gli stemmi delle dieci Casate Reali e si facevano testimoni della loro gloria. Nel quartiere intorno alla cattedrale, una variopinta moltitudine inondava ogni vicolo, ogni piazza, i tetti d'ogni edificio; la piazza antistante era già piena dalla sera precedente.
Un'aria nuova si respirava in quel giorno solenne, un'aria che segnava l'inizio d'un nuovo periodo storico nel doloroso cammino dell'umanità fra le stelle. Dopo la caduta della grandiosa Seconda Repubblica, il cui splendore era stato corrotto dal tarlo del peccato d'orgoglio, dopo anni di guerre civili, dopo le tremende invasioni barbariche da pianeti che si preferivano dimenticati, finalmente era giunto il momento di riunirsi intorno al carisma d'una figura che avrebbe saputo guidare il destino degli uomini verso la stabilità e la pace.
Le incessanti litanie della processione s'udirono ben prima che la lunga colonna di sacer-doti arrivasse nella piazza, seguita dalla lucente navetta della futura maestà, naturalmente contornata da uno stuolo di guardie armate in alta uniforme. Subito dopo, in dieci file parallele, venivano le rappresentanze delle dieci Casate maggiori, seguite in ordine sparso dalle varie casate minori, in gran parte mischiate alle delegazioni inviate dalle cinque grandi Gilde mercantili. Chiudeva la processione un ulteriore assembramento di guardie armate, ma dopo di esse veniva la gente comune che si era di propria volontà accodata alla fila. Tutti, dal primo all'ultimo, erano ben coscienti di stare assistendo all'inaugurazione d'una nuova era storica.
Quando l'intera fila dei delegati fu entrata nella cattedrale e gli uomini armati in coda ne ebbero recintato il perimetro per evitare che la gente comune vi entrasse, la cerimonia ebbe inizio con la voce profonda del Patriarca che intonava un canto di lode al Pancreatore, amoroso padre di tutti che aveva donato all'umanità una nuova opportunità di essere unita, stavolta libera dagli esecrabili peccati commessi dalla vecchia Repubblica, bensì tenuta per mano dalla Chiesa del Sole Celeste.
Uscito dalla navetta, l'uomo destinato ad ascendere alla carica di Imperatore alzò il mento e con uno sguardo severo percorse la folla di nobili, sacerdoti e mercanti che erano convenuti per salu-tarne l'ascesa. Quando aveva dichiarato l'intenzione di unificare i popoli civili nella lotta contro la barbarie dei pianeti ribelli, in gran parte isolatisi alla fine della Seconda Repubblica e poi unitisi in un'alleanza volta a scardinare la civiltà e il decoro dei Mondi Conosciuti, solo alcune delle persone quel giorno presenti avevano fornito un subitaneo supporto. Altri lo avevano appoggiato soltanto quando la sua vittoria appariva chiara; altri ancora erano stati costretti ad allearsi con lui o a perire. Ma tutti, in quel giorno di festa, si erano riuniti per acclamarlo nella cattedrale di Byzantium Secundus, il pianeta che era stato capitale della Repubblica e che aveva sofferto penosamente durante le incur-sioni barbariche.
Avanzò verso il Seggio del Patriarca. Si chiedeva se, agli occhi altrui, l'onorevole intento di condurre l'umanità verso un periodo di pace e nuova prosperità fosse abbastanza nobile da celare la sua brama di potere personale e la volontà di affermare la sua Casata su tutte le altre. Si chiedeva se avrebbe alfine potuto reggere le redini dei Mondi Conosciuti in quell'oscuro Nuovo Medioevo, o se avrebbe finito per rovinare giù dal trono.
Avvolto nel manto dorato, quell'uomo fece un altro passo. Si disse che, se il Pancreatore gli aveva consentito di arrivare fino a quel punto, evidentemente gli elargiva un'approvazione senza precedenti e benediceva la sua scalata al potere, così come tra poco l'avrebbe benedetta il Patriarca Orto-dosso, in collegio con i membri più elevati delle altre sette della Chiesa del Sole Celeste. Lo stesso profeta Zebulon, rifletté, non avrebbe potuto che assecondare un segno tanto positivo per l'incerto futuro dell'umanità.
Orgoglioso della carica che avrebbe presto ricoperto e del posto che la Storia gli avrebbe riser-vato, quell'uomo impettito avanzò ancora verso il centro della Cattedrale, portando nella mano sinistra lo scettro imperiale e nella destra la spada che suo padre gli aveva tramandato. Non l'aveva mai usata in battaglia: del resto, una semplice spada era uno strumento sorpassato, sostituito nella mischia dalle ben più efficienti vibro-lame che potevano tagliare anche i campi energetici, oppure dalle spade di flusso, armi di energia pura. Pensò agli orrori della guerra, e si disse che il suo peccato d'orgoglio e la sua volontà di potenza erano ben poca cosa, in confronto al bene che avrebbe fatto a tutti gli abitanti dei Mondi Conosciuti, donando loro una stabilità politica seconda solo a quella dell'apice della Seconda Repubblica.

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Salì i tre gradini che lo separavano dal Patriarca, che ora lo attendeva in piedi dinanzi al suo seggio, rivestito nei suoi paramenti più eleganti, circondato dagli alti prelati della Sacra Terra. L'uomo nel manto dorato rifletté su quel pianeta lontano, che era stata la culla dell'umanità e che oggi era un gigan-tesco santuario governato dall'Ortodossia, un museo permanente alla storia dell'umanità, o almeno a quella che ancora si ricordava. Erano passati duemiladuecentoquarantacinque anni da quando gli esploratori dell'antica Prima Repubblica avevano scoperto, ai margini del sistema solare, ben oltre il freddo Plutone, l'immensa struttura circolare del primo portale di salto. Come un grande anello sospeso nello spazio, il portale fu la prima prova concreta e inoppugnabile che, in un remoto passato, erano esistite le stirpi degli Ur, razze tanto evolute da poter costruire giganteschi portali per il viaggio intergalattico e tanto antiche da finire pressoché rimosse dalla memoria dell'umanità, fatta eccezione per qualche leggenda di dubbia origine.
L'uomo destinato all'Impero si inginocchiò davanti al Patriarca, e poté sentire dietro di lui i passi dei delegati delle dieci Casate Reali, seguiti da quelli delle cinque maggiori Gilde mercantili. Tutti in ansiosa attesa del fatidico momento, la transi-zione dall'anarchia della Caduta al nuovo ordine dell'Impero. Il Patriarca intonò un nuovo canto, quindi stette in silenzio per consentire la tradizio-nale lettura d'un brano dai Vangeli Omega, gli scritti del Profeta Zebulon. Da quella inesauribile fonte era giunta, ormai più di milleottocento anni fa, la nuova e inarrestabile ondata di spiritualità che aveva pervaso l'umanità nella sua avventura nello spazio, quando ormai le vecchie religioni dell'Antica Urth si erano ridotte a sparuti circoli di adoratori e si erano dimostrate incapaci di contrastare l'avanzata del pensiero consumistico della Prima Repubblica. O almeno così narravano le storie ufficiali.
A lettura ultimata, venne il momento delle solenni benedizioni. Il Patriarca Ortodosso compì il gesto rituale sulla fronte del futuro Imperatore, tracciando nell'aria il segno della croce del portale di salto, simbolo dell'eterno potere del Pancreatore.
Terminate le benedizioni, l'uomo nel manto dorato poté rialzarsi, inchinarsi in una formale scusa ai sacerdoti per le spalle che stava per volgere loro, e girarsi verso i rappresentanti delle più potenti isti-tuzioni terrene. I primi ad inginocchiarsi furono i rappresentanti delle cinque grandi Gilde della Fede-razione Mercantile, che tanto aveva dovuto soffrire per sottrarsi alle accuse d'eresia e alla distruzione che esse avrebbero comportato. Uno dopo l'altro, giurarono fedeltà all'Impero il rappresentante degli Aurighi, i piloti che detenevano gran parte delle coordinate segrete necessarie all'utilizzo dei portali di salto; i Raschiatori, la cui presenza era tollerata solo perché i loro affari di dubbia onestà erano stati indispensa-bili per il supporto delle guerre contro i barbari; l'Adunata, il più grande corpo di soldati mercenari dei Mondi Conosciuti, le cui attività nel recluta-mento di schiavi si preferiva ignorare; i Funzionari, la cui conoscenza della legge sorpassava persino quella dei sacerdoti ortodossi, e le cui sconfinate finanze avevano pagato persino gli addobbi della cattedrale in quel giorno festoso. Per ultimo, e con una certa riluttanza, si inginocchiò il rappresentante del Supremo Ordine degli Ingegneri, custodi delle tecnologie più avanzate e dei perduti segreti della Seconda Repubblica, per questo da sempre additati nella flagrante infrazione del divieto di usare la tecnologia e sospettati di caldeggiare la folle istitu-zione d'una Terza Repubblica. Così la Federazione Mercantile si inginocchiava dinanzi al potere dell'Impero nascente.
Infine, giunse per il futuro Imperatore il godimento più grande: quello di ricevere il giura-mento di fedeltà delle Casate nobiliari. Per prima giurò la Casata Alecto, nella persona del successore che l'uomo nel manto dorato aveva scelto per sé. Toccò quindi ai Gesar, che erano fra i padroni di Byzantium Secundus, ai Van Gelder, la cui ricchezza si basava sui commerci ed era perciò malvista dagli altri nobili, e ai Justinian, che più di tutti amavano e studiavano l'antica cultura degli alieni Ur-Obun, da tempo forzati compagni dell'umanità fra le stelle. Si inginocchiarono poi il rappresentante della Casata Windsor, una delle poche stirpi della Sacra Terra ad essere sopravvis-sute nella corsa allo spazio, ed il capo della Casata Hawkwood, che si diceva fosse nata dall'unione della casata Windsor con i capi dei ribelli del pianeta Delfi, ma che nel tempo era ascesa ben più in alto degli stessi Windsor nel rappresentare l'apice dello status nobiliare. Da ultimi, piegarono il ginoc-chio i rappresentanti della sinistra Casata Decados, famosa per i suoi eccessi e per la strisciante violenza dei suoi intrighi, dell'esotica Casata al-Malik, dove il patronato delle arti si diceva convivesse con l'illecito desiderio d'una Terza Repubblica, e della marziale Casata Hazat, la cui passione per la battaglia infuo-cava ogni fronte dei Mondi Conosciuti.
Ecco che il processo era completo! Raccolta la benedizione ecclesiastica e la fedeltà di mercanti e nobili, quell'uomo vestito d'oro rinfoderò la spada e consegnò lo scettro imperiale ad un paggio, per poi girarsi nuovamente verso il Patriarca, che nelle mani portava il cuscino purpureo su cui era poggiata la corona imperiale. Raggiante nello splendore d'un potere conquistato a caro prezzo, egli prese la corona, si girò verso gli astanti e con un calcolato gesto solenne la alzò sopra la sua testa, come a rivolgerla verso il Pancreatore. Quindi, con lentezza rituale, piegò le braccia per abbassare la corona, fino a poggiarla finalmente sul suo capo. Un boato d'approvazione si levò tra la folla, soprattutto fra la gente comune che invadeva le vie della Città Sacra, e che seguiva la cerimonia tramite i grandi schermi allestiti in ogni piazza.

   
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  Il Gioco

Fu allora che accadde. Il viso dell'uomo incoronato si tese in una parossistica maschera di dolore, ed un sibilo uscì dalla sua bocca. Sembrò tentare di inspirare profondamente, poi emise un grido che sconquassò l'intera cattedrale, gettando in allarme tutte le guardie armate. La folla si zittì di colpo, i sacerdoti rimasero congelati dallo stupore. L'Imperatore si strinse il petto con le mani, come fosse in preda d'un indicibile dolore viscerale, poi un rivolo di fumo bianco uscì dalla bocca spalan-cata. Dagli occhi e dal naso si affacciarono lembi di fiamme provenienti dall'interno del suo stesso corpo. Un orribile crepitio risuonò in ogni dove, registrato dai potenti microfoni installati per l'occasione; fortunatamente, non c'era nessun sensore che potesse trasmettere l'olezzo di carne bruciata che iniziava a diffondersi. In pochi secondi, le fiamme divorarono dall'interno il corpo dell'Imperatore appena incoronato, che crollò sul pavimento come una buccia annerita.
Impietriti dall'inatteso orrore, tutti erano rimasti fermi ad osservare quella morte così tremenda. Un altro odore si diffuse nell'aria, ed era un odore che ben pochi ammisero di riconoscere.
I rappresentanti delle Casate e della Federa-zione Mercantile si avvicinarono, facendo cerchio insieme ai sacerdoti intorno a quei resti esterna-mente ancora integri, ma divorati da una fiamma che li illuminava dall'interno, donandogli una sinistra luce di morte. Quell'uomo avrebbe dovuto donare all'umanità un'epoca di rinnovata stabilità sotto l'egida del dominio nobiliare e della sacra prote-zione divina. Quell'uomo era stato assassinato da una mano crudele ed ignota, che aveva colpito in maniera efficiente e praticamente irrintracciabile. Quell'uomo si chiamava Vladimir Alecto, e per meno di un minuto era stato il primo Imperatore dei Mondi Conosciuti.

   
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