Salì i tre gradini che lo separavano dal Patriarca,
che ora lo attendeva in piedi dinanzi al suo seggio, rivestito nei
suoi paramenti più eleganti, circondato dagli alti prelati
della Sacra Terra. L'uomo nel manto dorato rifletté su quel
pianeta lontano, che era stata la culla dell'umanità e che
oggi era un gigan-tesco santuario governato dall'Ortodossia, un
museo permanente alla storia dell'umanità, o almeno a quella
che ancora si ricordava. Erano passati duemiladuecentoquarantacinque
anni da quando gli esploratori dell'antica Prima Repubblica avevano
scoperto, ai margini del sistema solare, ben oltre il freddo Plutone,
l'immensa struttura circolare del primo portale di salto. Come un
grande anello sospeso nello spazio, il portale fu la prima prova
concreta e inoppugnabile che, in un remoto passato, erano esistite
le stirpi degli Ur, razze tanto evolute da poter costruire giganteschi
portali per il viaggio intergalattico e tanto antiche da finire
pressoché rimosse dalla memoria dell'umanità, fatta
eccezione per qualche leggenda di dubbia origine.
L'uomo destinato all'Impero si inginocchiò davanti al Patriarca,
e poté sentire dietro di lui i passi dei delegati delle dieci
Casate Reali, seguiti da quelli delle cinque maggiori Gilde mercantili.
Tutti in ansiosa attesa del fatidico momento, la transi-zione dall'anarchia
della Caduta al nuovo ordine dell'Impero. Il Patriarca intonò
un nuovo canto, quindi stette in silenzio per consentire la tradizio-nale
lettura d'un brano dai Vangeli Omega, gli scritti del Profeta Zebulon.
Da quella inesauribile fonte era giunta, ormai più di milleottocento
anni fa, la nuova e inarrestabile ondata di spiritualità
che aveva pervaso l'umanità nella sua avventura nello spazio,
quando ormai le vecchie religioni dell'Antica Urth si erano ridotte
a sparuti circoli di adoratori e si erano dimostrate incapaci di
contrastare l'avanzata del pensiero consumistico della Prima Repubblica.
O almeno così narravano le storie ufficiali.
A lettura ultimata, venne il momento delle solenni benedizioni.
Il Patriarca Ortodosso compì il gesto rituale sulla fronte
del futuro Imperatore, tracciando nell'aria il segno della croce
del portale di salto, simbolo dell'eterno potere del Pancreatore.
Terminate le benedizioni, l'uomo nel manto dorato poté rialzarsi,
inchinarsi in una formale scusa ai sacerdoti per le spalle che stava
per volgere loro, e girarsi verso i rappresentanti delle più
potenti isti-tuzioni terrene. I primi ad inginocchiarsi furono i
rappresentanti delle cinque grandi Gilde della Fede-razione Mercantile,
che tanto aveva dovuto soffrire per sottrarsi alle accuse d'eresia
e alla distruzione che esse avrebbero comportato. Uno dopo l'altro,
giurarono fedeltà all'Impero il rappresentante degli Aurighi,
i piloti che detenevano gran parte delle coordinate segrete necessarie
all'utilizzo dei portali di salto; i Raschiatori, la cui presenza
era tollerata solo perché i loro affari di dubbia onestà
erano stati indispensa-bili per il supporto delle guerre contro
i barbari; l'Adunata, il più grande corpo di soldati mercenari
dei Mondi Conosciuti, le cui attività nel recluta-mento di
schiavi si preferiva ignorare; i Funzionari, la cui conoscenza della
legge sorpassava persino quella dei sacerdoti ortodossi, e le cui
sconfinate finanze avevano pagato persino gli addobbi della cattedrale
in quel giorno festoso. Per ultimo, e con una certa riluttanza,
si inginocchiò il rappresentante del Supremo Ordine degli
Ingegneri, custodi delle tecnologie più avanzate e dei perduti
segreti della Seconda Repubblica, per questo da sempre additati
nella flagrante infrazione del divieto di usare la tecnologia e
sospettati di caldeggiare la folle istitu-zione d'una Terza Repubblica.
Così la Federazione Mercantile si inginocchiava dinanzi al
potere dell'Impero nascente.
Infine, giunse per il futuro Imperatore il godimento più
grande: quello di ricevere il giura-mento di fedeltà delle
Casate nobiliari. Per prima giurò la Casata Alecto, nella
persona del successore che l'uomo nel manto dorato aveva scelto
per sé. Toccò quindi ai Gesar, che erano fra i padroni
di Byzantium Secundus, ai Van Gelder, la cui ricchezza si basava
sui commerci ed era perciò malvista dagli altri nobili, e
ai Justinian, che più di tutti amavano e studiavano l'antica
cultura degli alieni Ur-Obun, da tempo forzati compagni dell'umanità
fra le stelle. Si inginocchiarono poi il rappresentante della Casata
Windsor, una delle poche stirpi della Sacra Terra ad essere sopravvis-sute
nella corsa allo spazio, ed il capo della Casata Hawkwood, che si
diceva fosse nata dall'unione della casata Windsor con i capi dei
ribelli del pianeta Delfi, ma che nel tempo era ascesa ben più
in alto degli stessi Windsor nel rappresentare l'apice dello status
nobiliare. Da ultimi, piegarono il ginoc-chio i rappresentanti della
sinistra Casata Decados, famosa per i suoi eccessi e per la strisciante
violenza dei suoi intrighi, dell'esotica Casata al-Malik, dove il
patronato delle arti si diceva convivesse con l'illecito desiderio
d'una Terza Repubblica, e della marziale Casata Hazat, la cui passione
per la battaglia infuo-cava ogni fronte dei Mondi Conosciuti.
Ecco che il processo era completo! Raccolta la benedizione ecclesiastica
e la fedeltà di mercanti e nobili, quell'uomo vestito d'oro
rinfoderò la spada e consegnò lo scettro imperiale
ad un paggio, per poi girarsi nuovamente verso il Patriarca, che
nelle mani portava il cuscino purpureo su cui era poggiata la corona
imperiale. Raggiante nello splendore d'un potere conquistato a caro
prezzo, egli prese la corona, si girò verso gli astanti e
con un calcolato gesto solenne la alzò sopra la sua testa,
come a rivolgerla verso il Pancreatore. Quindi, con lentezza rituale,
piegò le braccia per abbassare la corona, fino a poggiarla
finalmente sul suo capo. Un boato d'approvazione si levò
tra la folla, soprattutto fra la gente comune che invadeva le vie
della Città Sacra, e che seguiva la cerimonia tramite i grandi
schermi allestiti in ogni piazza.
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