Janus cercò di rilassare i muscoli del ventre,
duri e tesi per l'aura combattiva emanata dai due sfidanti, poi
aguzzò la vista. Il suo istinto era guidato dall'esperienza.
Come gli aveva insegnato il suo maestro di Mantok, il Frate Combattente
prese a leggere i vettori e le linee di forza sul corpo dei due
combattenti.
Il Duca Alejandro dava sfoggio della propria maestria con la spada,
spostandosi lateralmente con piccoli passi, in modo tale da poter
alzare la propria guardia in ogni momento. I suoi movimenti erano
attenti e misurati, la sua forza trattenuta dalla prudenza. Non
era improbabile che tale atteggiamento derivasse dalla padronanza
dello Shaidan, l'arte marziale Hazat. Lucretia Michela, al contrario,
aveva uno spirito ancora acerbo e movenze nervose, che mostravano
lacune nella sua difesa.
L'aria sembrò vuotarsi di colpo, ingoiando ogni rumore della
stanza. Nell'istante successivo un muto ed invisibile gong suonò
nelle orecchie dei due sfidanti, dando inizio allo scontro.
Lucretia lasciò che la sua impazienza la portasse a sferrare
il primo colpo, un affondo che lasciò insoddisfatta la sete
di sangue della sua spada. Il Duca aveva pagato con profonde cicatrici
l'abilità degli avversari, rendendosi abile nello schivare
facilmente attacchi all'arma bianca. Rispose con un fendente più
preciso che penetrante, appena una prova delle effettive capacità
della propria avversaria. Il corpetto di Lucretia fu più
che sufficiente ad arrestare il colpo.
Nell'attacco seguente fu il Duca a prendere l'iniziativa, avanzando
di scatto ed eseguendo, nel contempo, un ampio fendente orizzontale.
La giovane parò il colpo diretto al suo fianco, e l'attrito
delle lame non si era ancora esaurito che il suo mantello già
avvolgeva l'arma del Duca. Una presa di cappa. Questi avvertì
che il suo controllo sulla spada stava per cessare, fece uno scarto
alla propria destra e la ritrasse lungo il proprio filo, nell'unica
angolazione ancora utile.
Lucretia si morse il labbro inferiore per la presa che le era scivolata
via, poi eseguì un affondo azzardato, troppo azzardato. La
lama di Alejandro parò bellamente il colpo ed eseguì
una riposte, immergendosi nella coscia sinistra della giovane. Il
sangue sgocciolò letteralmente a terra, cadendo dai due rivoli
separati che avvolgevano l'arto leso. L'inesperienza era stata pagata
con una ferita dolorosa ed una ridotta capacità di movimento.
Si udì uno scoppio tra le braci del camino. Un grosso ceppo
rovesciò sul fianco della catasta ardente.
Forse il Duca Hazat avrebbe voluto dire qualcosa, una proposta di
resa o un'esclamazione beffarda. Non ne ebbe il tempo. Il mantello
di Lucretia si aprì davanti ai suoi occhi come un drappo:
un gesto disperato, ma la colorazione accesa della stoffa e l'impeto
dello scontro rendevano il manto un diversivo efficace. Trapassarlo
con la lama sarebbe stata una mossa assurda quanto scontata. Arretrare
con la guardia alzata avrebbe limitato il raggio delle sue azioni.
Alejandro non esitò un istante e schivò verso destra,
quando dal suo punto cieco guizzò l'arma della ragazza. L'istinto
aveva ben guidato il contendente meno esperto. E lo stesso istinto
si riflesse nelle azioni del veterano Hazat. La lama di Aragona
parò il fendente all'ultimo istante, poi disegnò un
arco scarlatto nella difesa incerta dell'avversario. Lucretia dovette
arretrare con una spaccatura nel corpetto in plastacciaio, all'altezza
dello sterno e quasi sopra il seno sinistro.
Basta così! Il pensiero esplose nella mente di Tristan Hawkwood,
ma la sua conoscenza della disciplina Hazat lo trattenne. Sapeva
bene che, intervenire ed interrompere lo scontro, sarebbe stata
un'intromissione imperdonabile. Il duello, però, era palesemente
impari: il Duca aveva un'esperienza di combattimento quasi ventennale,
mentre la ragazza stava forse sostenendo il suo primo scontro mortale.
Le intenzioni del nobile Hawkwood si riflessero in quelle del monaco
guerriero. Anche il giovane sacerdote sembrava fresco d'accademia
e non ancora avvezzo alla battaglia, per quanto fosse nota a tutti
la durezza della disciplina dei Frati Combattenti di De Moley.
Fratello Janus avrebbe voluto intervenire, ma un limite, un vincolo,
forse una promessa fatta alla stessa Lucretia, lo tratteneva a forza.
Una costrizione il cui peso era visibile sul volto contratto del
monaco.
Alejandro arretrò di qualche passo, una posizione di pura
prudenza, mentre valutava la resistenza ormai fiacca della sua avversaria.
Non propose una deroga, non offrì una resa decorosa, non
manifestò alcun segno di pietà. Nel rispetto della
disciplina Hazat, interpretata nella sua forma più integralista,
non offendeva l'orgoglio del nemico consentendogli cedimenti. Lasciava
oscillare la sua lama in stretti movimenti ad arco, riuscendo ad
ignorare le chiazze carminio che la lordavano.
Immobili ed assorti, il Funzionario e l'Auriga trattenevano il respiro
attendendo l'atto successivo di quella vicenda. E l'attore principale,
dopo alcuni secondi di dolorose esitazioni, si decise a concludere
quella scena. Le ferite dolevano, rendendo più amaro il sapore
di una prossima umiliazione. I suoi piedi calpestarono le gocce
di sangue sul pavimento, trasformandole in striature confuse e sporche.
Ma la volontà di Lucretia Michela sembrava ancora solida
come una roccia, ed il fuoco vivo che si rifletteva nei suoi occhi
non era uno specchio del braciere, ma della sua stessa anima.
L'amazzone scrollò le spalle ed avvolse il mantello scarlatto
attorno al proprio braccio sinistro, allungandolo davanti a sé
come ad offrire un varco nella propria difesa, mentre con nuova
energia si preparava a sferrare un nuovo attacco. "Vieni, vecchio.
Riconosci la metà del mio sangue". Mormorò, con
il volto illuminato dal piacere. "O incidimi sul corpo la tua
eredità".
Nessuna risposta verbale era necessaria. Padre e figlia si riconobbero
nello stesso sguardo, in una voluttà di battaglia e brama
di sangue. Il mondo circostante svanì, lasciandoli soli in
un'arena di pietra ed onore. Poi i due guerrieri si trasformarono
in ombre guizzanti e divennero un'unica cosa.
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